Casa Mia (Racconto)

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C’è qualcosa di vecchio nella mia paura che però si rinnova tutte le volte.  Mentre salgo le scale, mi tappo il naso per bloccare gli odori che scappano da sotto le porte. Le crepe nel marmo bisbigliano, sento più loro che non gli altri rumori, le sedie che si spostano, le sigle dei telegiornali, i piatti che tintinnano e a volte il rumore di qualcosa di pesante che batte su un tavolo. Per evitare di cadere nella conchiglia delle scale, devo mantenermi di raso al muro. Se le scale le salgono e scendono tutti, tutti i giorni, non c’è motivo di aver paura. A me fa più paura salirle che scenderle, non so perché.

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Ansie da scribacchini

Per la rubrica nuova di zecca “Ansie da scribacchini”, oggi pubblichiamo il racconto dell’amico Malosmannaja-già noto alle cronache di Scribacchini come Top Commentator nonché inviato dal Polesine. In questa storia, le parole prendono minacciosamente il sopravvento, impregnano l’aria come un poltergeist, provocano allucinazioni da incubo, fanno colare fiumi di sangue-inchiostro (siete avvisati).

Per leggere altri scritti di Malos, contattarlo direttamente, fargli i complimenti o inviargli qualche parolaccia, cliccate pure qui.

 

– Cazzo hai fatto, nano?

Una folata d’aria fresca scende le scale e s’incunea dal pianerottolo verso l’appartamento, mentre Franca indugia impietrita sulla porta senza trovare il coraggio di varcare la soglia del trilocale e chiuderla alle proprie spalle. Il tanfo d’avverbio raffermo s’attenua appena.

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Piccolo Mondo

Dopo aver perso la trama alcuni mesi fa, ne ho trovata una nuova di zecca sotto il letto. Sono ancora indecisa su cosa farne: un romanzo, il soggetto di un film d’azione o d’animazione, uno sketch pubblicitario, una soap opera?

Intanto ve la illustro.

Siamo in un mondo piccolo piccolo, alla stregua di quei mini pianeti che compaiono ne Il Piccolo Principe di Saint Exupery:

5.0.2

o nella pubblicità del British Gas:

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Astrid and Thor are back

donnaAstrid wasn’t working anymore. Work was a thing of the past; from 2066 the global workforce had been reduced to 2%. All factories − magicians hats, as they were now called − grew underground hidden by lawns and meadows, buried under hills, so that we could count daisies and look at clovers.

Thor and Astrid were relaxing after a night picnic of fruit based meals and drinks for a total calories vitamins ratio of 1/100: a vitamin intake sufficient for the next seven days. Astrid was studying ‘history in the final year of capitalism and the collapse of the last empire’. She yawned thinking how oppressive work must have been, and tried to picture herself getting out of bed every morning even when it was raining but she really couldn’t. Continua a leggere “Astrid and Thor are back”

La Signorina X

portrait2La Signorina X aveva letto il libro di Bertrand Russell: ‘Il Terribile Giuramento della Signorina X’ quando era bambina e si era meravigliata che un emerito filosofo, tanto importante, avesse scritto un libro su una donna fragile che aveva il suo stesso nome.

I disappunti sono come i fichidindia se non li tocchi non ti pungono. La Signorina X li lasciava sulle sedie e sui tavoli di casa e li disseminava ovunque andasse, Continua a leggere “La Signorina X”

Racconti scritti in un’altra vita

20140216_141729Oggi pomeriggio, scavando tra la polvere di cartelline Word rimaste chiuse per anni, ho trovato un brano che non mi ricordavo di aver scritto. Di sicuro si tratta di un incipit (annata 2010), ma non chiedetemi di cosa. Non me lo ricordo proprio. Se non fosse per due o tre elementi che mi sono familiari, avrei anche il dubbio di averla scritta io:

“Di bella sei bella. E questo, non negarlo, te l’ho sempre detto. Continua a leggere “Racconti scritti in un’altra vita”

Le ali ai piedi

Iniziamo il count down per il weekend lungo con una cosina allegra e foriera di speranze future. Questo racconto era stato selezionato tra i cinque finalisti di un concorso horror, e mi è valso la vincita a parole di un romanzo di Stephen King – che non mi è stato mai recapitato. Capisco che i costi di spedizione dall’Italia al Regno Unito possano risultare proibitivi. E poi, a noi scribacchini interessa soprattutto partecipare, vero? Buon giovedì a tutti.

Cammino per casa con una mano sulla bocca. Mi viene da vomitare. Stavolta mi viene per davvero, non come quando prendo in giro mia madre.

20141110_160540L’ultima volta è stato pochi giorni fa, quando è ritornata a casa e sembrava tutta su di giri, quasi ubriaca. Vieni qui Carola guarda cosa ti ho comprato. Da una busta di plastica ha estratto una camicetta rosa salmone firmata Monna-Lee, una di quelle che puoi annodare sul davanti stile fiocco di seconda elementare. Una di quelle cose che, se hai quindici anni e sei sana di mente, non ti metterai nemmeno da morta. Forse a quel punto avrei dovuto abbracciarla e pentirmi di essere sempre stata una pessima figlia, e anche lei magari avrebbe ammesso di non meritare il Nobel per la maternità, e quindi ci saremmo abbracciate piangendo. Invece, ho preso quella cosa e mi ci sono coperta la bocca e ho fatto finta di vomitarci sopra. Continua a leggere “Le ali ai piedi”

Della serie: Storie principesche senza senso

 

La Principessa senza nome

La principessa scastelloenza nome atterrò col suo cavallo alato in cima alla collina. Brandendo la sua spada, alzò le braccia forti e candide e accarezzò con la lama i raggi della luna. L’arma luccicò e l’intera foresta con i suoi alberi si alluminò di luce argentea. La principessa lanciò un urlo forte come un tuono
e fresco come una cascata e reggendo la spada con entrambe le mani cominciò a infliggere colpì in tutte le direzioni. I suoi lunghi capelli accarezzavano l’erba e gli alberi cominciarono a cadere l’uno dopo l’altro: alberi di tutte le dimensioni: alti e bassi, lunghi come torri e folti come cespugli. La principessa senza nome continuò la sua battaglia, muovendosi in cerchio verso nord-ovest. Sulla collina delle fitte nuvole cominciarono ad apparire. Uccelli di tutte le specie si alzarono in volo verso il cielo, ma non sapendo dove andare rimasero a volteggiare sulla collina, lanciando grida di dolore e meraviglia. La principessa continuò ad infliggere colpi mortali e tagliare alberi giganteschi, sino a che stanca ed esausta lasciò cadere la spada e si buttò a terra immobile. Restò così, distesa, tutta la notte e tutto il giorno. Poi venne di nuovo la notte e nulla rimase di quella foresta verde. Dopo avere riposato e sognato la principessa si svegliò, si alzò lentamente, scuotendo dai suoi capelli le foglie ed i fili d’erba, salì sul suo cavallo alato e volò alla volta della luna piena.

La Principessa e la luna

La luna adornata da piccole gocce di perle e mosaici dai mille colori avvolgeva di luce argentata il piccolo lago sulla cima del monte. I suoi raggi metallici baciavano le acque come frecce e le penetravano facendo di ogni goccia un diamante dalle mille sfaccettature. Ogni sera la principessa con la sua spada dorata, posando l’arma sulla riva si immergeva delicatamente. Prima il piede bianco come il marmo, dopo, lentamente, le gambe. Avanzava co
sì tra le acque, lasciandosi poi andare con dolcezza sul ventre fino a che le braccia toccavano quelle gemme preziose. La principessa rimaneva così, ferma sul dorso lasciando che la luna la baciasse, l’amasse, la confortasse. La luna come un’amica la accarezzava e le teneva compagnia. Sfiorandole la pelle, accarezzandole il corpo, baciandole i capelli. Ogni notte la principessa abbandonava il castello, ogni notte percorreva la collina sino in cima e rimaneva sola con la luna. Ogni notte la luna l’aspettava, per raccontarle storie di guerriere che cavalcando cavalli alati percorrevano mari e monti, conquistavano castelli, nuotavano nei fiumi. Indomabili guerriere senza terra.

La luna l’avvolge, la principessa sorride, il mondo dorme.

Primo giorno

La neve si scioglieva delicatamente come le ali di un angelo sulle colline scure lasciando pozzanghere e specchi d’acqua chiara, il sole era mite e pallido. Fu qui che la principessa senza nome fece bere il suo cavallo. Fredda e indolenzita con le mani gelide si copriva con le pellicce e i mantelli. L’erba riusciva appena a rompere la terra ancora dura come pietra e trema
re al vento. Doveva raggiungere le sue compagne tra tre giorni. Era andata via dal villaggio per cercare il tesoro nascosto, seppellito nella caverna.

Aveva dovuto aspettare la notte e poi aspettare la luna e il cielo senza nuvole per arrampicarsi su in cima, sino all’ultima caverna sulla roccia. Qui aveva scavato e scavato e ancora scavato ai raggi della luna che illuminavano d’argento le pareti della caverna. La principessa aveva lavorato tutta la notte finché l’ultima moneta, l’ultima gemma furono raccolte e nascoste dentro una borsa di cuoio con puntali d’acciaio e fibbie di ferro. Alle prime luci dell’alba la principessa si addormentò, stanca per aver lavorato tutta la notte, stringendosi il tesoro al petto si coprì con il suo mantello, appoggiò il capo sul terreno sabbioso e sognò di navigare per mare su una barca a remi, le vele gonfie di vento, senza onde avverse
né mostri marini. Solo sole e cielo e un morbido dondolio. Quando la principessa si svegliò un brivido la ricoprì ed un serpente le strisciò vicino senza toccarla ed un pipistrello cadde ai suoi piedi. Era ora di riprendere il suo cavallo e mettersi in cammino, le rimanevano altri due giorni di viaggio per raggiungere l’accampamento. L’impresa era stata compiuta e ora non restava altro che cavalcare durante il giorno e accamparsi durante la notte, proteggendosi dal freddo e dal vento.
Secondo giorno

Le provviste di cibo cominciavano a mancare. Le era rimasto ben poco. Il pesce affumicato e il pane duro erano finiti, ora la principessa doveva nutrirsi di bacche e piante selvatiche.

∞∞∞

Tra la nebbia e il cielo all’orizzonte ecco apparire il tuo volto che spacca tutto come fuoco tra gelida neve. Gli occhi misteriosi come mandorle bruciate al sole, le pupille piccole e crudeli, il tuo corpo affusolato e forte. Ti vedo e poi sparisci, riappari di nuovo sempre più vicino, coperto da un’armatura di ferro, intravedo la pelle abbronzata del tuo braccio, la pelle bianca del tuo torso, bianca e splendida come la luna in una notte d’agosto. Poi più nulla, e all’improvviso sei di fronte a me senza un parola. Il vento mi spinge tremante contro le rocce, la mia testa sfiora una pietra, i capelli volano lunghi e si attorcigliano contro il mio corpo, accasciata a terra non prendo la spada, ti vedo alto e forte mentre mi guardi. Cerco di alzarmi per fuggire ma non voglio muovermi non voglio neanche difendermi. Poi in un barlume, salto, corro, salgo sul mio cavallo e mi allontano vertiginosamente tra i dirupi. Raggiungo gli alberi nella valle senza mai girarmi indietro, mi nascondo nella foresta dove gli alberi si fanno più fitti e la luce penetra appena. Finalmente mi fermo sicura di non essere più seguita. Mi giro intorno cercando di riprendere fiato, non vedo altro che alberi, tronchi e foglie, rami e ceppi. Aspetto il buio della notte, sicura d’essere salva e mi addormento nella mia capanna: un tronco cavo coperto di rami. Lo sigillo con il mio mantello, depongo la spada al mio fianco, ma i tuoi occhi lontani mi avevano osservato senza perdermi di vista, silenziosamente mi avevi seguito, lentamente e inesorabilmente sei arrivato al mio rifugio. Ti sento entrare senza una parola, il tuo corpo è contro il mio, tremo quando mi tocchi ma non di paura.

La guerriera e il mago

(o meglio)

La guarigione della guerriera

 

Ero seduta su un cavallo pezzato, grigio e bianco, che a passo molto lento trotterellava lungo il campo tagliando l’erba con gli zoccoli. Per non scivolare mi avvinghiavo con le mani e le braccia al mio cavaliere. Aveva un lungo mantello. Il suo colletto alto e rigido mi impediva di vedere che aspetto avesse. Volevo tanto che fosse il mago, il mago di cui tutti parlavano, che viveva sul monte e raccoglieva erbe e sassi, pietre e foglie. E se non lui, almeno un altro mago, un qualsiasi mago. E così pensando continuai il viaggio fiduciosa di essere nelle mani giuste. Ero stanca, tanto stanca. La mia armatura aveva buchi e graffi, l’elmo mi copriva la fronte e il naso, mentre il resto del volto era seminascosto dall’usbergo. Continua a leggere “Della serie: Storie principesche senza senso”

Tecla

image“Tecla non vuole uscire dall’acqua! Quando mi avvicino mi guarda di sbieco! Che le ho fatto?”
“E lasciala, perché ti agiti sempre quando Tecla entra in mare?”
Durante la luna piena Tecla diventava un’altra. La sua voce diventava un bisbiglio, i capelli si trasformavano in alghe marine, traslucide e fragili.
Il suo corpo perdeva peso visibilmente, la pelle da abbronzata e solida diventava di un rosa perlaceo e quasi trasparente. Era sempre così ogni plenilunio. Il suo corpo captava quel fluido magnetico emanato dalla luna piena e poi la lenta trasformazione.

In quel punto della terra, la forza gravitazionale della luna faceva lievitare visibilmente umani e animali, ma solo Tecla subiva quella strana trasformazione. Gli abitanti di quell’ isola si erano abituati da tempo a quel fenomeno e non ci facevano più caso. Solo il fratellino minore di Tecla, Giannino, s’innervosiva e diventava irrequito ogniqualvolta Tecla s’immergeva nell’acqua del mare in quel suo stato fragile e traslucido.

“Mamma, e se Tecla non ritorna più dal mare?… E to’ che mi guarda ancora sempre di sbieco !”
“Non ce l’ha con te, è colpa della luna piena, dovresti già saperlo..”
“Sì ma…perché sempre solo me di sbieco guarda…” Giannino andò a sedersi più in là sulla spiaggia, ma non troppo distante da Tecla per evitare così i suoi sguardi che lo facevano immancabilmente innervosire pur non sapendo il perché.

Tecla riemerse dall’acqua, si passò le mani sul viso bagnato poi, con tocco leggerissimo delle mani, si lisciò i fragili capelli traslucidi, gli arrotolò con grande cura poi con un colpetto preciso gli appiccicò tutt’intorno alla testa. Si addentrò nelle acque profonde e con un tuffo da delfino sparì  sott’acqua.
Giannino balzò in piedi e corse verso l’acqua, il cuore che batteva forte.
Pregò dentro di sé: “Dio del mare, dio del mare,” e intanto contava i secondi contando i battiti del proprio cuore. “Falla affiorare, falla affiorare.”

Le acque calme di quel tratto di mare si tinsero gradualmente di violetto, turchese e arancione intrecciandosi in una lenta danza sinuosa di colori che fluivano, si dileguavano e si ricomponevano in altri più sgargianti dei precedenti.

Giannino non sapeva nuotare ed ora il suo cuore faceva tapum, tapum, tapum sempre più’ veloce. ” Teclaaaaa,” voleva gridare, “Teclaaaaaaaaa” e corse dentro l’acqua.

(gemma ravagni)